
“Osservo, osservo, osservo. Sono uno che comprende attraverso gli occhi.”
Henri Cartier-Bresson: dal disegno, all’olio, al cinema, passando per la fotografia
Strepitosa mostra dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 al Museo dell’Ara Pacis di Roma sul grande fotografo Henri Cartier-Bresson (1908-2004): oltre 500 opere tra fotografie d’epoca, disegni, dipinti, film, manoscritti, documenti rari e inediti per conoscere a fondo l’opera di un grande fotografo e di un testimone della nostra epoca.
Quale Cartier-Bresson vi affascina? Quello surrealista? Eccovi accontentati! Dal 1926 al 1935 Cartier-Bresson frequenta i surrealisti, compie i primi passi nella fotografia e intraprende i suoi primi viaggi: “il surrealismo mi ha segnato in profondità, e per tutta la vita mi sono sforzato di non tradirlo”. Molti scatti degli anni ’30 illustrano i principi della “bellezza convulsa” definiti da André Breton. Cartier-Bresson riprende alcuni dei temi di elezione del movimento – “ritratti” di tessuti e oggetti impacchettati, corpi deformi, sogni a occhi aperti -, ma è soprattutto l’atteggiamento surrealista ad affascinarlo: il gusto della libertà e della rivolta, la giocosità, la carica esplosiva.
Vi interessa, invece, il Cartier-Bresson dell’impegno politico, del lavoro per la stampa comunista e dell’esperienza del cinema? Dal 1936 al 1946, le sue posizioni politiche sono molto vicine a quelle dei comunisti: anticolonialismo, sostegno dei repubblicani spagnoli e lotta contro l’ascesa del fascismo. La sua iconografia diventa più documentaria, ponendosi al servizio di un discorso esplicitamente sociale. I suoi primi reportage, commissionati dalla stampa comunista, documentano questioni sociali come le prime ferie pagate del 1936 o rendono omaggio agli ideali del Partito, per esempio “l’infanzia”. Immortalano anche gli eventi politici: in occasione dell’incoronazione di Giorgio VI, nel maggio del 1937, il fotografo volge maliziosamente le spalle al sovrano per puntare l’obiettivo sul popolo che lo sta osservando. L’esperienza cinematografica di Cartier-Bresson è un prodotto della sua militanza politica. Tra il 1935 e il 1945, abbandona la fotografia per il film: fa da assistente a Jean Renoir che nel 1936 gira La vita è nostra e La scampagnata su commissione del partito comunista: “Per me il cinema non ha la minima relazione con la fotografia. La fotografia è qualcosa di visivo che si guarda su un piano come un disegno, una stampa, un quadro. Il cinema è un discorso”. Parte per la Spagna durante la guerra civile e gira diversi documentari tra cui Victoire de la vie (1937), una vera chicca storica presente nella mostra.
Oppure vi seduce il fotografo di Magnum? E’ il periodo che va dal 1947 al 1970, cioè dalla creazione della prestigiosa agenzia Magnum Photos (“Con la Magnum è nata la necessità di raccontare una storia”) fino al suo abbandono del foto-reportage.
E se invece foste intrigati dai ritratti? Nulla da temere: potete gustare in mostra i bellissimi ritratti di Matisse, Giacometti (ritratto nella stessa posa delle sue sculture!), Sartre, ecc.
Fotografo delle folle, delle masse (Funerali di Gandhi, Folla in attesa davanti a una banca per ritirare oro durante gli ultimi giorni del Kuomintang, Shanghai, Incontro politico al Parco delle Esposizioni), seppe anche, un po’ come Chaplin, descrivere il rapporto tra l’uomo e la macchina (L’azienda Canadian, Fabbrica Citroën, Centro spaziale John F. Kennedy).
Che cosa significa per Cartier-Bresson “fotografare”? “Il momento dello scatto si colloca a metà strada tra il gioco del borsaiolo e del funambolo. Un gioco perpetuo, accompagnato da una tensione estrema”.
Fausta Genziana Le Piane