Poesia dalle parole apparentemente semplici, verbo che afferra nell’ironia il presente cogliendone il nucleo spesso bruciante e contraddittorio: nei versi di Wislawa Szymborska, la grande poetessa polacca morta ieri nella sua Cracovia a 88 anni, la realtà, il quotidiano, si offre al lettore senza infingimenti.
Presentandola al pubblico italiano, Vanni Scheiwiller, l’editore grazie al quale la Szymborska esordì nel nostro paese ebbe a dire che “la scintilla, la precisione, la molteplicità degli interessi filosofici e scientifici, la sua non appartenenza a nessun gruppo o corrente letteraria fanno della sua poesia un piccolo miracolo di assoluta semplicità e immediatezza».
E i “miracoli”, quelli che non fanno scalpore, che vivono nella bellezza dei dettagli, quelli “alla buona”, sono il corpo della sua poetica. Si tratta di coltivare la meraviglia, lo stupore dinanzi al mondo per cui nulla è ovvio, neppure che “le mucche sono mucche” o che la frutta sia matura nel frutteto.
Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996, in un passaggio del suo discorso alla premiazione, disse che «il nostro stupore esiste per se stesso e non deriva da alcun paragone con alcunché, e poi perché il mondo, qualunque cosa ne pensiamo, questo smisurato mondo è stupefacente».
La poetessa polacca non amava le ribalte, nonostante il successo che la rese famosa. Nacque a Kórnik il 2 luglio 1923. Ironizzò così della sua fama nella lirica “Ad alcuni piace la poesia”: “la poesia piace a non più di due persone su mille”.
Nel dopoguerra, aderì al Partito operaio unito polacco fino al 1960, definendo successivamente un «peccato di gioventù» le prime raccolte del 1952 e del 1954. Fu redattrice dal 1953 al 1966 del settimanale letterario di Cracovia «Życie Literackie» («Vita letteraria»), al quale collaborò come esterna fino al 1981.
Nel 1957 la raccolta “Appello allo Yeti” le diede il successo letterario. Pietro Marchesani, il suo principale traduttore in Italia, ha detto di lei: «Quello che la Szymborska vuole salvare dal diluvio non sono le grandi cose o i paroloni, ma “chiaroscuri e semitoni/ capricci, ornamenti e dettagli/ stupide eccezioni/ segni dimenticati innumerevoli varianti del grigio/ gioco per il gioco/ e lacrima del riso”».
Nicla