Laura Pezzola, Rimarrà la luce del giorno?
Laura Pezzola, Rimarrà la luce del giorno?
Laura Pezzola, Rimarrà la luce del giorno?

Nel corso di un’intervista, il fotografo finlandese Ari Jaaksi così risponde alla domanda che gli è stata rivolta: Perché preferisci scattare in medio formato e in bianco e nero? “Per me la fotografia è un mezzo per esprimersi più che per catturare ricordi o momenti. Ma è solo il mio punto di vista. E ho questa teoria: credo che ve-diamo una fotografia in bianco e nero istintivamente come un artefatto, una rappresentazione artistica creata dall'uomo della cosa/paesaggio/persona che rappresenta. Una foto a colori, invece, la vediamo più come una rappresentazione realistica. Non come un artefatto”. E così sono stata ipnotizzata dalla copertina dell’ultima raccolta poetica di Laura Pezzola dal titolo Tutti i no sono saliti al cielo, Ensemble, 2023, copertina in bianco e nero, che è un po’ il biglietto da visita del libro e che mi ha catapultato letteralmente nel mondo di Laura Pezzola. La poetessa vuole esprimersi: i te-sti della silloge sono ricerca di espressioni e momenti. Nina-Laura guarda fuori dalla finestra e noi lettori con lei. Verso dove? Verso il tenue ricordo che incessantemente riproponiamo a noi stessi, come anche detto nella dedica (Guardiamo il mondo, una volta, da piccoli. Il resto è memoria).
Ricordo che all’Università presi 24, voto basso per i miei soliti risultati, ad un tema di francese proposto dal Professore Pierre Burney (una frase di Charles Péguy) che più o meno diceva che tutto ciò che si prova per la prima volta ha una freschezza, un’innocenza che non si ripeteranno più nella vita. È un po' la conferma dell’affermazione della dedica: tutto ciò che si prova da piccoli ha una magia che non riproporrà più. Ma è così per Laura?

Ma forse è solo il cortile
della nostra infanzia
a calzettoni a quadri
e le pozzanghere – il sapore
del tempo che in inverno
raggiunge più presto la sera    (La vita, p. 20)

È chiaro che il tempo la fa da protagonista, scandisce le salite e le molte cadute: non importa se l’anno finisce, se la vita finisce: siamo quelli di allora e siamo quelli di oggi che affondano le radici nel passato, Laura è una forma in divenire (p. 26).
La raccolta è scandita per periodi, per mesi. Un diario. Infatti, si tratta di una poesia tutta interiore, meditata, fatta di riflessioni, in compagnia della natura che un po’ fa da specchio al sentire della poetessa e un po’ svolge il ruolo di cara amica. Su di lei Laura scrive come sopra una lavagna e detta gli ingredienti per una buona poesia: altro non è se non quella di tutti i giorni, del nostro sentire quotidiano. Come sono fatti i mesi invernali per la poetessa? Sono fatti di poesia, appunto, ma di una poe-sia concreta, tangibile, fatta di Natura. E se il Poeta fosse un giardiniere volante (p. 24)? Se questo fosse il binomio vincente? Si sa, il Poeta vive tra le nuvole, catapultato in cielo, tra le nuvole. Certo il Poeta-giardiniere vola alto, cerca l’azzurro baudelairiano ma ha una zavorra che ostinatamente vuole trascinarlo a terra: ha sacchi di terra
sulle spalle…È dilaniato tra lo spleen e la bellezza, tra il cielo e la terra (il cielo pian-se la caduta delle stelle / e la solitudine degli alberi / ripiegò la chioma sulle radici, p. 25). La bellezza rischia di essere minata.
La fisicità con cui Laura parla della Natura è commovente e mentre ci dice che abbraccia la chioma degli alberi, sentiamo noi stessi il suo abbraccio, avvolti dalla sua empatia. L’identificazione della Poetessa è totale: Quando il profumo dei pini / ti protegge dal mezzo cielo…Quando incidi la pelle / di foglie ondulate…Quando sei isola di caprifoglio / nell’arcipelago del vento…Quando sei alga / abbarbicata alla muraglia… (Quando l’anno finisce, p. 21).
Se c’è un’immagine che rimarrà impressa sarà quella della Poetessa che cammina. Il verbo camminare, metafora del vivere, è ricorrente:

In questo tempo mansueto
cammino e cammino
calpesto fogli e stanze    (In questo tempo, p. 23)

Il giardiniere-Laura

Cammina su nuvole di foglie   (Il giardiniere volante, p. 24)

Cammino con niente nelle tasche
incontro pigne e sassi da scalciare.  (Tuoni di guerra, p. 26)

Ancora di più: il corpo della Pezzola DIVENTA NATURA, È ESSA STESSA NATURA:

Trascorro dalla testa ai piedi
sui canali azzurri delle vene
navigo i crateri del cuore
esploro le foreste sempreverdi
dal midollo al fusto.
La geografia del corpo
è una strada intricata
di mappe parallele (…)    (Geografia, p. 30)

Poesia bellissima, questa geografia del corpo, tutt’una con la Natura. Eccola Laura che cammina e se non cammina calpesta, scalcia, naviga (i canali sono le vene), esplora (le foreste sempreverdi) e va, va per la sua strada intricata, con il sacco sulle spalle, con la zavorra del suo essere solo un essere umano. Infatti, più volte Laura parla di peso sulle spalle (peso degli anni, della vita, della croce). In questo tempo che non ci ama, Laura-Poetessa-giardiniera non sa stare ferma, va, va, attentissima ad ogni dettaglio, sfidando mete e annullando sconfitte, anzi, raccogliendo fiori, acchiappando sogni, essendo di volta in volte isola di caprifoglio, granello di perla, alga abbarbicata alla muraglia, sfinge o farfalla. Perché, nonostante tutto, nonostante la guerra e questo mondo malato, Laura È VIVA! Testimonia che i Poeti sono vivi e che con fermezza dicono NO alla guerra, fino a far salire la protesta in cielo! Anzi, il messaggio senz’altro positivo del libro (nonostante il grigio che inquina le sere, le vite poco illuminate, la polvere delle anime perse) arriva a dire che ognuno di noi ha un giardino dentro, un nido di cui avere cura, da proteggere perché lì dimora la bambina/il bambino che eravamo. Lasceremo un segno: sarà un segno – un graffio – una foglia / una goccia di resina impastata / alla terra (Dialogando, p. 29). Se l’inverno è nostalgia e ricordo del giorno nell’avvicinarsi della sera, la primavera è attesa. Di cosa? Di sentieri da camminarci dentro!!!!!! Per la poetessa anche i ricordi camminano, tornano camminando (Nostalgia di noi, p. 44)! E non poteva non mancare la favola di Pollicino:

Quale sarà il posto delle mie parole
quale briciola indicherà il cammino
per raggiungere la casa – il giardino
del tabacco – i capperi – le file operose
delle formiche nelle loro tane di terra!    (Il mio posto, p. 51)

Non solo correre, ma avanzare, seguire, sfilare, passo, sentiero tutto dice l’inevitabile scorrere del tempo che incalza (un chicco di tempo sulle spalle) e che non finisce di finire. Il tempo si confronta con giovinezza finita, con la piazza dei giochi, con le radici bambine, con il liquido della nostra nascita. Nido…casa…oasi…porto...posto.
Nella lirica sopra citata si parla di casa e in tutta la raccolta c’è la metafora della casa: la vera casa dell’uomo non è una casa fatta di mattoni, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare…a piedi come quello di Bruce Chatwin! La casa che contiene appena l’assenza: porto da salpare, che accoglie, oasi di un solo viandante, posto che assomiglia ai capelli. La metafora del nido accomuna inevitabilmente la poetessa a quel mondo naturale che tanto le è congeniale. Il Nido è dove risiede l’anima, è dove stare per non sentirsi soli, è anche casa di ogni casa, è il nostro paese.
Cosa cerca Laura? Rifugio? Calore? Protezione. No, CONCENTRAZIONE-RICORDO (si nasce nel ricordo, tutto è ricordo che nutre): Il retro di una cartolina / con la scritta antica e fitta (Questa casa, p. 40). Il mito dell’infanzia cantato da Pavese:

Ho perso la scarpetta accanto
al pozzo ma non la paura
di smarrire persone.
così sono partita e nel pozzo
ho raccolto le chiavi
di tutte le case abitate.
Tu eri invisibile.
nei campi interravi radici
pochi abbracci – pochi sorrisi,
un amore immenso riposto
nella quiete dello sguardo    (Invisibile, p. 58)

La poetessa cerca il suo posto nel mondo e trova il luogo delle sue parole.
Fausta Genziana Le Piane
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